In questo periodo è in corso un ampio dibattito circa il superamento delle rigidità imposte dalla contrattazione colletiva, alla libera volontà delle parti.
V’è una corrente di pensiero che invità a porre maggiore autonomia in mano alle parti, lasciando ad ogni lavoratore l’opportunità di “giocarsi” al rialzo rispetto ad un minimo il proprio accordo economico con il datore di lavoro, certamente basandosi non solo sulle proprie capacità professionali, ma anche sulla propria abilità e competenza nel promuovere se setesso.
Alcune settimane or sono, su Repubblica, Il sociologo Luciano Gallino sottolineava come tale previsione normativa significasse in realtà non tanto abilire il contratto collettivo nazionale, quanto abolire il sindacato.
Egli scrive:
Tre secoli fa essi (i sindacati) cominciarono ad associarsi in vari modi per ottenere salari più alti e migliori condizioni di lavoro.
Nessuno poteva sognarsi da solo di ottenere simili progressi. Troppa era la debolezza contrattuale di ciascuno di fronte al potere economico, politico e sociale degli imprenditori, dei mercanti, delle pubbliche autorità.
Però l’unione di mille o diecimila debolezze realizzata con qualche forma di associazione poteva dar luogo a un soggetto collettivo in grado di opporsi con efficacia al potere dei padroni e dello stesso governo.
Come scrisse una volta per tutte Adam Smith in La ricchezza delle nazioni (1776), gli interessi delle due parti non sono affatto gli stessi, e per entrambe l’associazione è indispensabile al fina di difenderli.
… Il livellodel salario “dipende dal contratto concluso ordinariamente tra le due parti.”
Cioè tra le associazioni dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro.
Anzichè riconoscere il naturale conflitto di interessi che rende indispensabile l’associazione sindacale ed il contratto collettivo, l’idea pre-smithiana del contratto individuale si fonda sul presupposto della eguaglianza di diritto tra le due parti.
Un presupposto che ignora la abissale disuguaglianza di risorse economiche, di mezzi di sussistenza, di peso politico , di capacità di resistere senza lavorare e produrre che sussiste tra il singolo lavoratore e la singola impresa, sia pure di piccole dimensioni.
Una condizione da cui discende la necessità di un sindacato che al tavolo della contrattazione sappia portare la forza costituita dalla combinazione di un gran numero di debolezze.
Si tratta di una questione importante, perchè coinvolge direttamente molte esistenze ed indirettamente molte altre, perchè riguarda non solo la competitività di un’impresa, di un territorio, del paese, ma anche la vita, la soddisfazione, il benessere materiale ed emotivo di molti individui.
Riguarda inoltre la cultura, la propensione al rischio, la visione del mondo di un popolo, di una generazione, di un sistema sociale.
Personalmente ritengo che non si possa ragionare in termini di questo e di quello,
ma di questo e di quello.
Sono passati decenni, secoli, e la nostra società è molto cambiata e con essa il modo di vedere il lavoro, di viverlo, di attribuire ad esso un senso professionale, sociale e personale.
Sono aumentati i livelli di istruzione e di informazione: ognuno di noi, se vuole, può essere molto più responsabile del proprio futuro e dunque anche del proprio lavoro.
Certo, questo significa sviluppare le competenze, le capacità e le abilità non solo di svolgere delle mansioni più o meno operativi, ma anche di rappresentare all’esterno le proprie abilità, le ambizioni, le disponibilità, il senso di responsabilità, in modo da valorizzare appieno sul mercato del lavoro il proprio valore personale e professionale.
Inoltre non mi piace pensare che le potenzialità degli uni siano frenate dalle mancate volonta di altri; questa non è solidarietà. E’ importante valorizzare la solidarietà nei confronti di coloro che non sono in grado, non di coloro che non vogliono impegnarsi.
Questo perchè non è più tempo di garantire chiunque, a prescindere dal proprio grado di impegno e di corresponsabilizzazione, e perchè abbiamo ormai imparato che dare troppo oggi significa far pagare ad altri domani, altri che, molto probabilmente, avranno assai meno di coloro che oggi vengono garantiti.
Allora…
allora penso ad un contratto collettivo che fissi dei limiti economici e soprattutto normativi che tutelino la persoane e il lavoratore, con particolare riferimento ai più deboli, e maggior spazio all’azione delle parti, ove il singolo può far valere i propri talenti, ache – perchè no – con l’appoggio consulenziale di un sindacato inteso modernamente, capace di valorizzare i singoli e le eccellenze, come di tutelare i minimi per ciascuno.
Grazie per la tua attenzione.