Capita spesso che il quadro attiri la nostra attenzione.
Capita talvolta che ci colpisca la cornice.
Quando cogliamo l’insieme quadro+cornice da fuori, almeno siamo ben consci di quale sia l’uno e quale l’altra e di come si influenzino reciprocamente.
Ma capita anche sovente, e forse generalmente, che ci sfugga la cornice entro la quale viviamo esperienze e relazioni. Accade così che non ci accorgiamo dei pregiudizi, dei preconcetti, degli errori di attribuzione di significato, dei comportamenti poco efficaci che comunque tendiamo a perpetuare, stupendoci di non ottenere i risultati sperati.
Quella cornice è davvero più sfuggente e spesso non la consideriamo una delle tante possibili, ma l’unica esistente.
Come sempre siamo tentati di far scorrere la nostra esistenza in una sorta di ovattamento, che non ci permette di cogliere la cornice, all’interno della quale proiettiamo il nostro quadro personale, senza verificarne l’efficacia, la fondatezza, l’attualità. Soprattutto in in mondo che cambia e che ci porta a modificare – aggiornandoli – i ruoli sociali che interpretiamo.
Ed è per questo che ho provato grande piacere nel considerare come quanto cerchiamo di ignorare, ci si presenta invece in modo prorompente, attraverso un tema che sembra all’apparenza diametralmente opposto.
E invece no; la letteratura consolidata che tratta i temi dell’ADR e della mediazione – forse perchè risenti dell’impronta americana – riporta in primo piano il ruolo personale e professionale del mediatore, che non si connota esclusivamente per la conoscenza tecnica delle diverse procedure.
Grande attenzione è data a temi quale l’ascolto attivo e la consapevolezza emozionale che sono i pilastri per una capacità di risoluzione creativa dei conflitti.
Nei prossimi articoli mi propongo di approfondire questi temi.
Ma è proprio necessario che sia una norma a farci porre attenzione ad argomenti tanto rilevanti, ben oltre i procedimenti di mediazione e conciliazione?
Grazie per la tua attenzione