Questo post è dedicato ad una persona, con la quale spesso mi trovo a parlare di cornici, di punti di vista, di opportunità e possibilità, di stile di comunicazione verso se stessi e verso gli altri.
Mercoledi scorso il Corriere della Sera riportava in due distinti pezzi, due storie molto diverse, ma entrambe riferibili ad un cambio di cornice avvenuto nei protagonisti e, cosa importante, entrambe le storie parlano di successo.
Perchè ritengo questo fatto importante, carissima?
Non certo per il successo in sè, soprattutto per quanto può evocare in termini di simboli esteriori, quanto perchè aiuta a copire come, a parità di protagonista, tra un destino di successo o meno, spesso la differenza è è determinata da un cambio di cornice.
Cambio di cornice, ovviamente, che il protagonista della storia deve attuare da sè, anche se attraverso l’aiuto o con il contributo altrui, ma egli deve esserne in fin dei conti l’artefice.
Ciò significa che il cambiamento non si realizza, se la persona non lo realizza; se la persona non agisce nulla cambia e, per essere prosaici, il successo e gli onori connessi non arrivano, anche se la persona ha in sè tutti gli attributi potenziali per poter ottenere grandi risultati.
Ma le manca la capacità, il metodo e forse anche la consapevolezza per poter mettere in atto il proprio potenziale.
Insomma potrebbe, ma non sa come.
Bene, le due storie parlano di due persone molto diverse, un manager italiano molto famoso ed un designer straniero di gran fama; entrambe però raccontano di un momento, di un periodo, nel quale il corso della loro vita ha avuto una svolta. O meglio, nel corso del quale sono riusciti ad imprimere un significativo cambiamento al loro percorso, se vogliamo ricorrere ad una similitudine dei nostri tempi, a cambiare il livello nel quale giocare la propria vita.
Franco Bernabè, manager di livello internazionale, racconta di quando frequentò l’ultimo anno di scuola superiore negli stati uniti, lanciandosi in un’avventura allora nuova e non ancora inserita in canali formativi divenuti tutto sommato canonici, come ai giorni nostri. Complice una famiglia che non lo ostacolò, senza tener conto della mancata conoscenza e grazie all’imbeccata di un amico, affrontò un’avventura che implicava decisamente un cambio di prospettiva. Che cosa racconta di aver portato con sè da quella avventura?
L’inglese perfettamente fluent è ovvio, ma più importante ancora, la capacità di resistere in situazioni difficili, di saper gestire ansia e solitudine.
Philippe Stark, noto designer di grande impatto e fama, racconta invece come fu un incontro casuale a cambiare la sua vita professionale (e non solo) all’incontro con una persona, che lo ha aiutato a far arrivare le sue idee geniali ed innovative agli industriali italiani del mobile che avrebbero saputo utilizzarle. In pochi mesi da sconosciuto e con molti dubbi sul proprio lavoro, a designer di successo.
Due storie molto diverse, accomunate dall’aver conosciuto una fase di svolta, che ha aiutato il protagonista a considerare in modo diverso se stesso e la propria esperienza.
Cero che se si riesce a capire e attuare questo passaggio da ragazzi….
Tratte da Corsera del 6 aprile 2011: “Ero solo e perso nell’america del 1965, ma fu lì che imparai a diventare adulto” di I. B. Fedrigotti “Perchè sono una star? Un angelo italiano ha capito le mie idee” di A. Sacchi