Continuiamo il post di martedi scorso, cercando di evitare errori e di trascurare particolari importanti nelle primissime fasi di costruzione del rapporto psicologico col nuovo arrivato.
Quali sono i “rischi” principali da evitare?
- Non costruire le condizioni adeguate per favorire la chiara e piena comprensione del contesto complessivo dell’azienda, all’interno del quale il nuovo collaboratore andrà ad operare, nell’ambito di uno o più processi e sottoprocessi. La presenza di una chiara visione d’insieme nella quale andare successivamente ad inserire lo svolgimento dell’attività specificamente delegata al nuovo arrivato è uno dei modi migliori per favorire la piena comprensione del senso del lavoro, oltrechè dei contenuti e dunque fondamentale per poi pretendere atteggiamenti e comportamenti responsabili ed adeguati allo specifico contesto. Certamente questo approccio è ancor più importante nel caso si tratti di sevizi immateriali, più complessi da intuire e comprendere rispetto al caso di prodotti tangibili, soprattutto se la persona ha poca o nulla esperienza di lavoro.
- Non dire chiaramente alla persona cosa l’organizzazione si aspetta in termini di comportamenti, atteggiamenti, modalità di relazione con i colleghi, regole di convivenza interna e di utilizzo delle strutture (pause caffe, Internet personale, ecc.). Se questi aspetti non sono affrontati e gestiti fin da subito in modo chiaro (quante aziende e studi utilizzano un qualche Documento di Accoglienza del Nuovo Assunto? Quante hanno comunque formalizzato un “Patto interno di convivenza professionale”?), può accadere frequentemente che una grossa fetta del “come” svolgere il lavoro sia lasciata alla libera interpretazione del singolo, mentre il grosso dell’attenzione si concentra solo sul ” cosa” c’è da fare.
Senza questa cornice di sfondo diventa meno semplice rappresentare l’immateriale, ovvero far comprendere lo “stile” con cui l’azienda o lo studio vuole che venga interpretato il ruolo professionale.
Senza questa chiarezza di fondo si lascia al caso o al “buon senso” la gestione di quella componente immateriale del lavoro che molto spesso ne costituisce il senzo più profondo, ne comunica, e valorizza la qualità.
Con i tempi che corrono direi che non è proprio il caso di rischiare!
Grazie per l’attezione.