Di padre in figlio: tre domande per te

Vorrei che affrontassi queste domande una per volta dando risposte sincere, posto che le dai a te stesso:
  1. Quanto sei disposto ad investire (soldi, attenzione, tempo) per un buon passaggio generazionale
  2. Quanto vale un buon passaggio generazionale?
  3. Quanto costa un cattivo passaggio generazionale?

Non essendo generalmente considerato una “questione urgente”, il passaggio generazionale viene degnato di un’attenzione assolutamente sottodimensionata rispetto alle sue reali implicazioni.

E come tutti i potenziali problemi non gestiti con metodo, rischia di gonfiarsi fino a divenire esplosivo.

Tu che ne pensi, dunque?

3 comments

  1. In premessa, penso che sia necessario ammettere che esiste il passaggio generazionale, che non è scontato e che non si limita a insegnare al figlio come lavorare, all’assegnarli una scrivania e appendere i diplomi alla parete.
    Fondamentale è valutare la spinta motivazionale del figlio, la reale volontà del padre a concedere spazio e responsabilità al figlio e chiarire il ruolo del figlio agli eventuali dipendenti.
    Vista la premessa, sarei disposta a investire molto tempo per pianificare con attenzione il pg.
    Dal pdv umano un buon pg implica la serenità di padre e figlio, il consolidamento del loro rapporto e l’armonia dell’ambiente aziendale.
    Dal pdv produttivo genera migliori risultati grazie alla chiara ed equilibrata definizione dei ruoli.
    Un cattivo pg porta al contrario della risposta alla domanda 2: figlio immotivato o represso, clima di lavoro e famigliare nervoso e conflittuale.
    Quanto sarei disposta a spendere? E’ la risposta più difficile.
    Il pg non si traduce solo in numeri, è coinvolta la componente emozionale/psicologica.
    Il valore in € della gestione emozionale non deve essere basso. L’accettarlo dipende dalla sensibilità degli attori del pg e dalla volontà ad affrontare il dolore (non solo dell’importo della parcella) che smuove il toccare le corde famigliari.
    Buon fine settimana da Chiara.

  2. Sembra scontato, ma non lo è. Molti genitori trascurano l’impatto della componente motivazionale di tale passaggio. La fortuna in questi casi gioca un ruolo fondamentale. Per quanto mi riguarda il passaggio generazionale, avvenuto nel 1998, alla “tenera età” di 43 anni, è stato “obbligato”, concause la morte di mio padre, la scelta universitaria indotta dallo stesso 23 anni prima. I costi in termini di accettazione convinta della stessa scelta sono stati altissimi. Riflettiamo quindi prima e verifichiamo in tempo utile (prima dell’esame di maturità) due cose:
    – con molta onestà, e spogniandoci del punto di vista da “genitore indulgente”, se il figlio è adatto;
    – se il tipo di attività da “passare” rientra nei “Sogni” del figlio.
    cordialmente
    Gianfranco

  3. I problemi nascono anche quando in azienda il “patriarca” decide che il primogenito deve assumere il ruolo di “padrone” dell’azienda e poi si scopre…quando ormai è troppo grande e da troppi anni il ritornello gli era ormai stato ripetuto (tu sarai il padrone di tutto…,) che non ha le competenze per poter gestire in questo mondo globalizzato un impero ormai diventato troppo difficile da gestire anche da parte dei vecchi patriarchi con i vecchi metodi, Il problema? convicere il figlio che le cose non vanno e che vanno affrontate come il mercato chiede delegando con chiare e precise responsabilità ai propri sottoposti o addirittura a superiori da selezionare definendo i chiari ruoli necessari a galleggiare in questo mondo di indici verso il basso….oppure…? perdere tutto…?
    Peppino

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