Alcuni spunti interessanti, colti qua e là nei dialoghi con professionisti e colleghi nei recenti convegni:
Faccio parte di quella schiera di professionisti cinquantenni che sperava di lavorare meno e guadagnare di più nella seconda metà della propria carriera professionale. Ormai da molti anni mi sono specializzato nella consulenza strategica all’impresa e per fare questo ho reso autonoma la squadra dei miei collaboratori per quanto concerne gli adempimenti amministrativi e l’elaborazione dati. Attualmente non sono soddisfatto appieno del mio assetto lavorativo per tre motivi:
- avendo puntato sulla delega ai collaboratori, mi sono staccato via via dall’operatività più spicciola e questo a volte mi genera una sensazione di insicurezza;
- nell’attività di consulenza ho lavorato molto su un rapporto fiduciario con il cliente e non riesco a delegare quasi nulla allo staff che ho formato per questa attività;
- sono giunto ad una saturazione del mio tempo che mi impedisce la crescita; più che gestire le mie giornate le subisco e ciò non mi soddisfa.
Belle questioni. Innanzi tutto complimenti per i traguardi raggiunti e per aver saputo disegnare e perseguire un filo logico. Evidentemente sono presenti dei punti migliorabili, ma questo accade molto spesso e dunque lo possiamo considerare del tutto naturale.
- attuare un efficace processo di delega la ritengo una scelta intelligente ed oculata; l’organizzazione del lavoro si basa sulla suddivisione dei processi in attività più semplici che possono essere svolte da addetti adeguatamente formati. Sta poi al coordinamento riportare le componenti individuali ad un unicum che permetta di ottenere risultati soddisfacenti, con un buon livello di produttività. Agendo in questo modo si possono valorizzare le peculiarità individuali e realizzare percorsi di crescita professionale ben finalizzati a soddisfare le esigenze dell’organizzazione, creando ruoli professionali capaci di operare su parti specifiche del/i processo/i, senza comunque trascurare l’integrazione ed il “gioco di squadra”. Certamente delegare significa “far fare ad altri” e la conseguenza è smettere di seguire un’attività per dedicarsi ad altro, che si presuppone maggiormente importante e/o gratificante. Non considero un problema in sé e per sé il non conoscere più tutti i particolari di una procedura, se il capo riesce a conservare la capacità di padroneggiarne i “fondamentali” e di operare efficacemente in qualità di cerniera tra cliente e backoffice, cioè se riesce comunque ad essere lucido nell’inquadrare il problema (problem setting) e nel partecipare alla costruzione della soluzione (problem solving), anche se poi quest’ultima viene posta in essere in concreto da un collaboratore.
- non credo che un professionista possa costruire rapporti con il cliente che non si basino sulla relazione di fiducia; sono invece convinto che con un po’ di attenzione alla pianificazione ed alla comunicazione possa essere almeno in parte allargata allo Studio ed ai collaboratori. Tra l’altro questa è una condizione molto interessante da raggiungere, se si vuol prendere in considerazione la cedibilità dello studio stesso, che risulterà avere un valore di mercato tanto maggiore quanto più la clientela sarà legata all’ufficio e non soltanto al professionista uscente. E’ possibile cominciare ad abituare fin da subito il nuovo cliente alla presenza di un collaboratore che affianca il professionista, con un progressivo diradamento della presenza di quest’ultimo e, al contempo, con la contemporanea acquisizione del ruolo di interfaccia autorevole e riconosciuta dal cliente da parte del collaboratore. Con i clienti più radicati l’operazione va ponderata ed eventualmente messa in cantiere solo quando il collaboratore si mostrerà davvero in grado di gestire con buona autonomia la relazione con il cliente. Stessa “tattica” può essere utilizzata per gestire il passaggio generazionale e/o l’introduzione in studio di nuovi professionisti.
- la terza tematica è certamente trasversale e non riguarda solamente la sfera individuale del professionista. Quando il professionista opera nelle imprese in termini di consulenza strategica, essenzialmente porta in azienda un metodo con cui affrontare i diversi processi gestionali: il controllo dei costi, la gestione dei flussi finanziari, il controllo di gestione, ecc. . Avere un metodo e rispettarne le regole è essenziale anche nella gestione del tempo, perché altrimenti le cosiddette “urgenze” tendono prevaricano implacabilmente le cose importanti e per non indulgere in comportamenti penalizzanti quale l’attenzione parziale continua. Come la gestione aziendale, priva di metodo, si rivela approssimativa, così la gestione del tempo, se attuata sulla base del mero contingente, risulta priva di direzione, non riconosce le priorità, comporta insoddisfazione e, alla lunga, stress negativo. Non va neppure trascurato che la buona o cattiva modalità con cui il titolare gestisce il proprio tempo si riverbera in un altrettanto utile o dannoso esempio quotidiano per i collaboratori. (Puoi farti un’idea qui di come sia possibile ed utile saper gestire il proprio tempo)
Tu che ne dici?