
Sul Corriere di sabato 21 maggio Dario Di Vico commenta il rapporto ISTAT, per quanto riguarda la funzione di welfare che le famiglie svolgono nei confronti dei figli, in questi anni di difficile congiuntura economica e di stasi del mercato del lavoro.
Al di là che una attenta scelta del percorso formativo rende decisamente più agevole l’individuazione di un posto di lavoro, anche rispetto a chi ha conseguito un diploma di laurea meno appetibile, per non dire poi dei NEET, quello che mi ha davvero colpito sono queste parole:
La famiglia-welfare porta con se’ anche qualche distorsione di carattere culturale… I padri che hanno sempre ragionato equiparando la mobilità sociale al superamento delle occupazioni manuali tendono a riproporre lo stesso schema anche per la prole, non tenendo conto che … La complessità moderna sta abbattendo vecchi steccati.
Ammetto di essere legato allo schema, anche se la rappresentazione mediatica del lavoro dedica sempre maggiore attenzione a figure professionali che operano fuori dagli schemi classici del lavoro d’ufficio. Cuochi, arredatori, restauratori e quant’altro; il punto in comune a me sembra la creatività e la capacità d’intraprendere.
Mi capita sovente di pensare positivamente a questi mestieri, ma mi rendo anche conto che la mia esperienza e cultura professionale mi influenza non poco. Se cerco di proiettare il mio sguardo sui ragazzi, faccio davvero fatica ad immaginare soluzioni professionali per me “non canoniche”, anche se queste forse oggi gratificano maggiormente, sia dal punto di vista economico che da quello delle soddisfazioni personali.
In fondo anche qui si parla di cambiamento!