
Davvero mi sembra impossibile, ma sempre più mi trovo ad affrontare persone recalcitranti, che si ostinano con perseveranza diabolica a praticare i comportamenti e a perpetuare costantemente proprio quegli atteggiamenti, che li hanno condotti ad infilarsi in un angolo.
E (apparentemente) sembra non esserci verso alcuno di riuscire ad incidere su questi schemi di ragionamento.
E passi per chi opera in realtà di piccole dimensioni ed è abituato a decidere da solo, senza nessuno che faccia domande; in questi casi è ben comprensibile la fatica di accettare una prospettiva diversa, che metta in discussione, anche se a fin di bene, almeno parte di quanto vissuto e realizzato fino a quel momento.
Sembra invece meno giustificabile che coloro che operano in organizzazioni più grandi, anche di fronte alla aperta richiesta di cambiamento e di assunzione di un ruolo più ampio e di responsabilità, si ostinino a trincerarsi dietro mille distinguo che, di solito, riguardano sempre gli altri.
Io lo farei, ma….
Non avrei problemi, se…
Quando accadrà che, allora io…
Insomma, non c’è pericolo che queste persone compiano il primo passo, ma neppure che avviino un proprio autonomo percorso di riflessione e di (almeno) messa in discussione delle certezze e rigidità con cui si ostinano ad interpretare il proprio ruolo.
E proprio qui c’è il trucco! Si devono fare i conti una sorta di stupidità organizzativa, che impedisce di riconoscere come tali modelli non più attuali e che imbriglia con forza qualsiasi istanza di evoluzione.
Del resto si tratta di mettere in discussione quella cultura organizzativa che per anni ha garantito il funzionamento dell’organizzazione e che oggi le persone si sentono sfilare da sotto i piedi, provando una sorta di insicurezza, che non sembra essere tollerabile.
Non è curioso? Quell’adesione acritica ad un modello culturale, che ha permesso all’organizzazione di operare per molto tempo, oggi rischia di divenirne un elemento di debolezza!
Se i cambiamenti vengono introdotti per garantire maggiore funzionalità, in realtà rischiano di raggiungere il risultato opposto, a mano che non venga messa in campo un’importante attività di negoziazione con le persone che poi sono chiamate ad interpretarli, cercando però di evitare di trovarsi impantanati nel loop dell’analisi fine a se stessa.
Insomma; una cultura organizzativa comune e condivisa permette di viaggiare col vento in poppa, ma limita le manovre quando si richiede flessibilità e modifica degli schemi concettuali, finendo, giocoforza, per mettere in crisi le identità che fino a quel momento erano protette.
Precauzioni necessarie per evitare che l’artefice del cambiamento si ritrovi da solo con il cerino in mano…
In fondo anche quella è una forma di stupidità!
[Foto scattata a Las Vegas (NV) nell’agosto 2012]