Vittima-carnefice? A te la scelta!

Pensi mai a questo rischio reale?

Ogni giorno, ogni santo giorno,

una parte del tuo tempo è dedicata a costruire vincoli e non opportunità, per la tua azienda.

Silenzio in campo…

Il mio interlocutore tacque, per un po’… Poi ci incontrammo.

Ti ho proposto un estratto di una recente chiamata di un iscritto alla videoserie di http://www.andreapozzatti.it, che, mi confessò, si era finalmente deciso a telefonare, dopo tante esitazioni.

(A me parve che lo avesse convinto la moglie…. Resti fra noi, mi raccomando! Le donne sono avanti, in queste cose)

Ecco di cosa abbiamo parlato, quando andai a trovarlo un paio di settimane dopo.

Lo chiameremo, convenzionalmente vittima-carnefice (resti fra noi anche questo, ovviamente!).

Sono convinto che, come molte altre vittime-carnefice, molte persone si lamentino di avere poco tempo a disposizione, salvo poi sprecarne davvero troppo, disperdendosi in azioni e non-azioni, che non solo non le aiutano, ma addirittura le possono danneggiare.

Ma a cosa serve un metodo che non garantisce buoni risultati? Che non si dimostra efficiente, perché il rapporto fra le energie che richiede e i risultati che genera, è nettamente a sfavore dei secondi?

Insomma, non sarebbe il caso di investire un po’ di attenzione sul problema, per risolverlo?

Ma invece questo non accade, anzi. Le vittime-carnefici sono assolutamente… metodiche!

Quando vedono che i risultati non arrivano, di solito che fanno? Non si interrogano sul metodo (perdita di tempo!), ma si tuffano a capofitto nel solito tunnel quotidiano, senza riflettere.

E allora continuano ad inanellarsi speranze, fatiche, ansi, illusioni, piccole gioie, delusioni… senza una reale soluzione di una continuità che, in fondo, lascia sempre l’amaro in bocca.

E più ci si infilano, più lottano e annaspano goffamente in un cul de sac che, bontà sua, non lascia scampo. Anzi, sembra quasi che si diverta ad avvinghiare subdolamente e vincolare sempre più, l’ignara vittima-carnefice, piena di buona volontà, che però appare sprovveduta e ingenua, rispetto ad una questione in fin dei conti semplice.

Ci sarebbe da sorridere, se non si dovesse considerare che la vittima di questa situazione è anche carnefice di se stessa. E lo sa bene.

Pur avendo piena consapevolezza dell’inefficienza del proprio metodo, la nostra vittima-carnefice come si comporta?

Beh, rifiuta di assumere un punto di vista diverso (e migliore) rispetto a quello abituale, per lei unico, che le permetta di schiodarsi dalla propria zona di confort e cominciare a superare un po’ alla volta quei limiti attuali, che le stanno complicando inutilmente la vita.

Si rasenta l’assurdo, ma si corre davvero il rischio, che stia costruendo con grande perizia e determinazione una gabbia dotata di una serratura, della quale non detiene la chiave.

Se un giorno, chissà, deciderà di uscirne… immagina lo sforzo.

Alla faccia del confort!

Se invece, la nostra vittima-carnefice volesse affrontare la situazione, prima che sia tardi, potrebbe iniziare col rispondere con attenzione e sincerità a queste domande:
  • Quale è la caratteristica che penso contraddistingua il mio metodo di lavoro?
  • Quando ho deciso di utilizzare questo metodo? Perché?
  •  Quanto sono soddisfatto dei risultati che porta?
  •  Quali sono le fasi fondamentali in cui si articola?
  •  Le utilizzo sempre tutte?
  •  Quali mi sembrano quelle più funzionali al mio scopo? Perché?
  •  E quali no? Perché?
  • Quando ho modificato l’ultima volta il mio metodo di lavoro? È stato utile?
  • Qual è lo scopo che voglio raggiungere grazie al metodo?

Come hai letto, ho proposto alla vittima-carnefice tre concetti, che ritengo fondamentali:

  1.  La caratteristica peculiare che contraddistingue e caratterizza la persona e si riverbera nel suo lavoro; questo rappresenta un fattore di potenziale differenziazione, molto importante da valorizzare, anche attraverso il metodo
  2. Il metodo stesso, come strumento per raggiungere lo scopo definito, attraverso il miglior utilizzo possibile di tutte le risorse di cui si dispone, sia in termini personali che di squadra.
  3.  Lo scopo; avere un fine importante a cui tendere ritengo sia un elemento che fa la differenza, perché aiuta ad essere più concentrati, determinati, incisivi, coraggiosi.
Voglio concludere invitandoti (ma anche incitandoti) a considerare l’importanza di porti uno scopo, che è lo strumento fondamentale per avere una marcia in più, riuscire ad andare oltre i limiti attuali, imparare cose nuove, lavorare meno e guadagnare di più! Solo attraverso uno scopo si riesce ad avere un filo conduttore che guidi le scelte e le decisioni; immagini quanto questo particolare può fare la differenza, visto che uno dei punti fondamentali di un capo è la credibilità? E, dulcis in fundo, avere uno scopo rende la vita più bella, sana e lunga! Che altro puoi chiedere? Un abbraccio! Ciao!

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