
No, per favore non mi chiami capo!
Io lavoro con i miei colleghi, li coinvolgo, insegno loro quello che serve, li aiuto dove hanno bisogno e seguo l’avanzamento dei lavori.
Ma non mi chiami capo!
Ancora.
Sa, abbiamo provato più volte ad inserire la figura del caporeparto nello stabilimento, ma non ci siamo mai riusciti. Tutte le volte che abbiamo scelto un operaio bravo nel suo lavoro, poi questo non è riuscito a farsi rispettare in quanto capo dagli altri, e siamo dovuti intervenire per rimettere a posto la situazione. Ora come ora siamo noi titolari che ci occupiamo di far funzionare lo stabilimento.
Due frasi che esprimono situazioni simili, in aziende non troppo diverse fra loro.
La prima viene da un caporeparto, che si sente tale, ma che non vuol essere chiamato “capo”.
La seconda dal titolare di una interessante azienda industriale che lascia trasparire una difficoltà ricorrente che caratterizza la propria azienda.
Ma non è tutto!
Vede, il capo ufficio ha creato un clima negativo prima che me ne accorgessi; mi può aiutare?
Questa la richiesta di un professionista di successo.
Ancora:
E’ davvero bravo nel suo lavoro, ma il problema che incontriamo attualmente è che non riesce a spiegarsi bene; i sottoposti non lo capiscono e non sanno cosa fare.
Questo lo fa arrabbiare e i nervi saltano a tutti!
Lei cosa farebbe?
Così si è sfogato, si, proprio sfogato, poche settimane or sono un imprenditore edile, che si trova a gestire un’azienda in piena crescita.
Stiamo affrontando un tema molto interessante e assolutamente frequente nelle piccole organizzazioni italiane, aziende o studi professionali che siano: la difficoltà a costruire figure di capi intermedi, che si rivelino realmente efficaci per il funzionamento ed il clima interno dell’impresa.
Se da un lato è estremamente importante, per una piccola e media impresa, riuscire a darsi una struttura organizzativa, che possa contare almeno su un livello intermedio di leadership realmente efficace, rivolta alla gestione e al controllo dei processi, nonché alla manutenzione del clima di lavoro, dall’altro si scopre come assai di rado, per non dire MAI, i titolari dedichino una vera attenzione a creare le condizioni per far sì che ciò si verifichi.
Nulla accade per caso e dunque anche per creare un nuovo livello gerarchico che si riveli davvero efficace richiede attenzione, metodo e consapevolezza.
Tutto questo non viene invece considerato adeguatamente e generalmente si sceglie così: “Ehi, potremmo mettere Tizio a capo della squadra, sa far bene il suo lavoro e è una persona di fiducia”, salvo poi non effettuare nessuna comunicazione ufficiale al reparto o all’ufficio, lasciando così a Tizio il gravoso, e spesso non richiesto, compito di convincere i colleghi ad obbedirgli, dalla sera alla mattina.
Bene; se a questo aggiungi che tra il personale il “capo” non è di solito una figura ben vista (chiaro! Nell’iconografia veterostantìa delle relazioni industriali sta con il “padrone” e quindi non è più “uno di noi”; quindi disconosciamolo, così tutto tornerà come prima) che finisce per trovarsi in mezzo al guado, né carne né pesce, con tutte le difficoltà che ne conseguono (“Ma a me chi me l’ha fatto fare?! Stavo tanto meglio prima”).
Se consideri che in queste aziende la comunicazione ha generalmente una funzione meramente organizzative, cioè viene usata solo per far funzionare i progetti (qui e ora) e non si occupa di creare le condizioni affinché possano verificarsi dei cambiamenti reali quali la creazione di figure (importantissime [!]) di capi intermedi, allora possiamo chiudere la pratica perché tanto non ne uscirà nulla di buono e di duraturo.
Il tema della strutturazione della PMI, agile e snella per carità, ma comunque funzionale e chiara, costituisce una delle priorità di ogni azienda che si voglia mantenere davvero competitiva nel tempo, poiché contribuisce a dare la corretta dimensione ai tre livelli fondamentali della gerarchia: strategico, esecutivo e operativo. In questo modo si investe in produttività e si diffondono un po’ alla volta il senso di responsabilità e la consapevolezza organizzativa. I capi intermedi costituiscono snodi fondamentali di questa strategia.
Ma allora perché non dedicare un’attenzione competente ad una scelta oculata della persona a cui si chiede di “fare il capo”, soprattutto in ambienti di lavoro che hanno già “dichiarato” di non accettare un capo?
Perché non aiutare, concretamente e per tempo, il futuro “capo” a comprendere il ruolo che gli viene assegnato e a maturare le competenze indispensabili per svolgerlo al meglio?
Perché non parlare con i dipendenti spiegando l’importanza di una struttura aziendale ordinata e chiara e facendo capire come un capo non sia meramente al servizio del padrone, ma possa anche rappresentare e garantire le istanze dei propri sottoposti?
Già, perché non provarci (seriamente)?
Pensaci; il capo intermedio è una delle figure-chiave per il successo aziendale.
Forza!