10. La grande occasione del capo

Nelle piccole imprese e negli studi professionali, il capo è da sempre uno specialista, un esperto del proprio campo, che intorno a questa competenza ha via via dato vita ad un’organizzazione sempre più ampia e complessa.

Soprattutto le prime generazioni hanno conosciuto inizi individuali, per poi avviare crescite a palla di neve, con un aumento del personale ed un assetto organizzativo sempre imperniato sul titolare, vero deus ex machina.

Molto spesso questi capi sono self made e scontano la mancanza di competenze e sensibilità in tema di gestione delle persone, di capacità di delega, di saper dare forma ai profili professionali che costituiscono la base della loro squadra.

Possiamo apprendere tante cose, da questa incredibile esperienza e rileggere a fondo le esperienze e le modalità di essere capo, oggi.

Fra i principali insegnamenti di cui possiamo tenere conto sono convinto ci siano questi:

  • nelle ultime settimane è emerso prepotente il valore delle risorse umane in termini di partecipazione e di coinvolgimento; l’individualismo ha ceduto il passo al lavoro di squadra, curiosamente proprio quando è venuta meno la vicinanza fra le persone ed è iniziato il distanziamento sociale. Cioè quando fare squadra è più difficile e meno naturale. Sono scomparse le piccole menate quotidiane che incrostano le relazioni, di fronte ad una grande spugna che ha saputo cancellare la maggior parte di queste miserie (ma allora si può!);
  • la capacità di gestire persone è quindi chiaramente una priorità da sviluppare e coltivare assolutamente, non un optional facoltativo del “fare il capo”. In queste situazioni di difficoltà conta il senso di vicinanza del personale all’azienda o allo studio professionale e questo dipende dall’investimento che è stato fatto in precedenza sul capitale umano, che in questi frangenti ritorna, con gli interessi. La gestione delle persone è dunque più che mai un elemento primario nel bagaglio di un capo, soprattutto in una piccola realtà, nella quale il valore delle persone può emergere al massimo. Per questo servono le competenze, ma anche quell’intelligenza organizzativa che sta alla base di una leadership che unisce e motiva e si basa su una presenza qualitativa fatta di deleghe chiare e feedback puntuali e coerenti;
  • il lavoro a casa (telelavoro con un accenno di smart working) si è rivelato molto importante e spesso costituisce l’unica soluzione per non fermarsi. Va da sé, che l’interazione con il dipendente si deve basare molto più sulla fiducia, che sul controllo. E questo rappresenta e rappresenterà per molti titolari, un vero passaggio culturale. Inoltre, il capo è chiamato ad esercitare una funzione di presenza e vicinanza in un modo nuovo, in linea con l’innovazione organizzativa che avanza e le aspettative dei giovani lavoratori, assolutamente non delegabile;
  • questa particolare fase della vita di studi ed aziende, fa emergere i rapporti “reali” fra le persone, la loro capacità di gestire lo stress e di rapportarsi con le difficoltà. Viene messo a nudo lo spessore di aziende, professionisti, collaboratori. Può essere certo una considerazione un po’ cruda, ma si vedono e vedranno scivolare a terra diverse maschere. Sarà comunque un’occasione importante per calibrare e ridefinire alcune relazioni personali e di lavoro.

Per molti imprenditori e professionisti, esperti “specialisti”, questo è il momento buono per schiodarsi dai vincoli tipici di questo modo di fare il capo, che rischia di imbrigliare la crescita e lo sviluppo di aziende e studi e costituire da freno alla loro crescita dimensionale ed in termini di giro d’affari.

In conclusione riprendo ed approfondisco il tema del passaggio da controllo a fiducia, nella gestione del dipendente: hai presente quando le persone vengono valutate per quanto si fermano in ufficio, a prescindere da quanto realizzano effettivamente? (lo vedo sempre fermarsi fino a tardi; e viene anche tutti i sabati mattina….).

Ecco, nel caso del lavoro a distanza il controllo sugli strumenti non funziona proprio (lui ha tenuto acceso il PC più di quell’altro…).

Ma non funziona neppure con le generazioni più giovani, che esprimono un interesse nuovo rispetto alla gestione dei tempi di lavoro e degli spazi da dedicare a se stessi ed ai propri interessi. Non stupiamoci dunque, se sono più attenti di chi li ha preceduti, al rispetto dell’orario di lavoro o se chiedono il perché delle direttive che ricevono (rispondere in modo costruttivo li aiuterà a crescere).

Il capo è chiamato a motivare, leggendo le persone che ha intorno a sé non esclusivamente attraverso le proprie lenti, per riuscire a sviluppare quella benzina interna che si chiama motivazione e che è dentro ognuno di noi, evitando di distruggerla.

Come un genitore, deve sapere di doversi porre in un atteggiamento di aggiornamento continuo, avendo come miglior compagno di percorso l’errore, che costituisce il vero motivo di crescita e di evoluzione, a patto di assumersene la responsabilità e di volerci riflettere periodicamente.

Grazie per l’attenzione e Forza!

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