Perché accontentarsi del mero sufficiente?

L’impegno nel proprio lavoro, la motivazione a non limitarsi alla superficialità ed al minimo indispensabile nel quotidiano non sono di certo un fatto scontato.

Riscontrare nel proprio personale questo tipo di comportamenti e di atteggiamenti è una conquista importante, frutto di un lavoro competente, appassionato e metodico.

Significa essere stato capace di selezionare e reclutare persone in gamba, competenti e motivate, cosa davvero non di poco conto. Ed essere riuscito a tenersele strette, dando loro lo spazio e la fiducia per crescere; anche questa non è una condizione abituale nelle aziende, neppure nelle PMI o negli studi professionali.

Solo una meticolosa ricerca e selezione del personale ed un’altrettanto attenta, metodica e coinvolgente gestione della delega può garantire all’azienda ed allo studio professionale la creazione e lo sviluppo di un vero capitale umano, capace di fare la differenza sia nei risultati economici, sia per quanto riguarda l’ambiente di lavoro (cosa tutt’altro che da trascurare!)

Anche in questi mesi di crisi nel mercato del lavoro, ricercare, coinvolgere ed avviare le persone più indicate per la propria organizzazione rimane molto complesso, spesso addirittura troppo complesso. Eppure, come spesso accade, al processo di conoscenza e congiunzione fra azienda e persona si dedica poca attenzione, “perchè c’è sempre altro da fare, che diamine!”

Questo può essere assolutamente vero, ma si tende a dimenticare che quanto viene tralasciato in fase di scelta e di inserimento del nuovo collaboratore, il capo se lo ritrova poi con gli interessi, sotto forma di incomprensioni, risultati non in linea con le attese, difficoltà di delega che di certo non semplificano la vita lavorativa né a lui, né a colleghi e clienti. Accade frequentemente che queste problematiche fossero già percettibili, nelle pieghe della selezione; se solo si fossero dedicate più attenzione e concentrazione!

Ma, per l’appunto, “non c’è tempoooo!”. E spesso anche la competenza appare improvvisata.

La chiave di lettura è quindi (come sempre!) nelle mani del leader; anzi nella sua mente e nel suo cuore. Nel suo entusiasmo e nella sua competenza nel ricercare, selezionare, delegare, dirigere e motivare la sua squadra.

Tutto questo è particolarmente importante proprio in questo periodo, durante il quale molte sicurezze sociali e personali progressivamente vengono meno.
Proprio in queste condizioni un “buon capo” può fare la differenza.
Un buon capo sa scegliere le persone “giuste” per la sua squadra, sa coinvolgerle, sa guidarle in una direzione chiara e condivisibile, sa motivarle, sa aiutarle a trovare la propria soddisfazione personale, oltreché essere utili all’azienda o allo studio, sa riconoscere e gratificare il loro apporto.

Un buon leader conosce anche i propri limiti professionali e sa che per scegliere al meglio, conviene farsi affiancare da chi ha la competenza per aiutarlo a prendere le decisioni corrette.

Una volta inserite le persone, ci pensa lui; sa fare in modo che si trovino bene e che il lavoro – quel lavoro – sia per loro fonte di crescita e sicurezza personale (ti pare poco al giorno d’oggi?).

Un buon capo, un leader, fa sempre la differenza.

Forza!

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