
Quello che mi piace davvero del mio mestiere e probabilmente costituisce il motivo principale per cui lo svolgo, cercando di impegnarmi sempre e comunque, sta in gran parte nella mia scarsa capacità di sopportazione.
Nello specifico, stento davvero a vedere persone che si complicano la vita ad oltranza, rendendola difficile anche per coloro che li circondano. Mi riferisco all’ambito professionale, chiaramente. Anche se tirare confini netti, su questi argomenti, non è certo una cosa semplice.
Sembra davvero impossibile, per non dir di peggio, che vi siano persone assolutamente determinate a condizionare o addirittura a bloccare aree aziendali e processi organizzativi, “soltanto” per l’ottusa protervia con cui promuovono e tutelano la visione rigidamente egocentrica dell’ambiente lavorativo nel quale sono inserite.
Si arroccano nel fortino che hanno costruito nel tempo e dal quale si ostinano a non permettere a nessuno di farle uscire, neppure in un’ottica di crescita o di promozione.
Sembra che lì dentro sia racchiuso tutto quello che hanno da difendere.
Ne nasce spesso un dialogo tra sordi, dove le ragioni dell’organizzazione vengono rifiutate a priori, quasi fossero un insulto o, addirittura, una violenza perpetrata nei confronti del soggetto in causa, che si sente sempre più incompreso e torteggiato.
E così le relazioni si incrinano ulteriormente e le serrature si chiudono a doppia mandata.
Che fare dunque, quando ci si rende conto che si continua ad insistere su un tasto, che però non produce nessuno dei risultati sperati, se non contribuire ad esasperare la situazione?
Beh, si può gettare la spugna e isolare il soggetto recalcitrante, ammesso che sia possibile; oppure si può lavorare di immaginazione, cercando di pensare e costruire uno scenario diverso da quello che non ha sin qui funzionato, per provare ad individuare e usare un tasto nuovo e più efficace.
Per cercare e trovare il “tasto giusto”, può aiutare provare a mettersi nei panni dell’altro, facendo il possibile per comprendere le motivazioni profonde che lo spingono ad assumere la posizione di chiusura e rifiuto, che si vuole superare.
Può aiutare anche avere buona memoria delle proprie esperienze passate, che, per analogia, permettono di individuare possibili chiavi per aprire le serrature dietro cui si cela la comprensione degli altri.
E qualora si riesca ad aprire una breccia – che è sempre una gran bella soddisfazione! – e si inizi a lavorare sul cambio di abitudini e comportamenti, è fondamentale non limitarsi ad astrette esortazioni, ma conviene ricorrere a proposte concrete, con esempi calati nella realtà quotidiana e facilmente replicabili.
Risolvere situazioni bloccate nel tempo non è facile, ma neppure impossibile!
A patto di non contribuire ad irrigidirle e a bloccarle, solo perché ci si sente frustrati dal fatto che i tentativi messi in atto non hanno portato ai risultati sperati. Una prima reazione di scoramento e di fastidio è comprensibile, ma non rispondiamo alla rigidità con lo stesso comportamento, altrimenti sembriamo davvero avallare quel tipo di reazione, mentre sappiamo bene che le organizzazioni non vivono di protagonismi, ma necessitano di dialogo collaborativo e di colleganza.
Grazie per l’attenzione e forza!