COSTRUIRE EMPATIA GRAZIE ALLE PAROLE

A proposito di fortuna; ricordo bene, anni fa, un episodio alquanto “memorabile”. Una mattina, appena salito in auto e partito, un gatto nero attraversò la strada davanti a me.

!!!!!

Teneva in bocca un topolino. Un gatto nero che attraversa la strada porta davvero sfortuna! Beh, questo almeno immagino fosse il parere del topo!

E tu, sei fortunato o sfortunato?

Riconoscere che il mondo è ciò che ciascuna persona pensa di esso, comporta conseguenze che non riusciamo ancora a vedere in tutta la loro portata. Per renderci conto, ameno un po’, di quale potere si tratti, proviamo a sostituire il termine “mondo” con altre parole:
Mia moglie è ciò che penso di lei.
Mio marito è ciò che penso di lui.
I miei figli sono ciò che penso di loro.
I miei collaboratori sono ciò che penso di loro.
Il mio capo è ciò che penso di lui.

I miei clienti sono ciò che penso di loro.
La recessione è ciò che penso di essa.
Ecc…

Renè Egli, Il principio Lola, 1997, Essere Felici, FC.

Marco Aurelio, imperatore e filosofo, ci ricorda come la vita venga creata dai nostri pensieri.

Ciò che pensi è, insomma.

Sono partito della fortuna. Leggendo qua e là mi sono imbattuto in una definizione, di cui non ricordo l’autore, che suona così: la FORTUNA avviene quando fai incontrare la tua PREPARAZIONE con una OPPORTUNITA’.

Non trovi sia veramente un’idea efficace, seppur nella sua semplicità! Mi ricorda ciò che dicevano gli antichi Romani: Ognuno è artefice del proprio destino.

Certo, vengono chiamati in causa il senso di responsabilità personale e anche la capacità di superare una visione del mondo assai diffusa, che tende ad attribuire sempre ad altri la “colpa” di quanto accade in modo non coerente con le nostre attese.

Ricollegandomi all’articolo precedente, (vedi qui), voglio oggi riprendere il tema dell’empatia, sottolineando il ruolo del capo e, in specifico, della trama che egli scrive ogni giorno. Una trama che è frutto delle sue parole e dei comportamenti che agisce giornalmente.

Ma limitiamoci alle parole, per ora. La qualità delle parole influenza l’ambiente e, col tempo, concorre a determinare la cultura organizzativa.

Senza immaginare chissà che, appare chiaro che le parole delineano contorni e sfumature, favorendo l’assunzione di atteggiamenti positivi e collaborativi, piuttosto che di chiusura ed egoistici.

Scegliere, dosare, riconoscere le parole e l’effetto che esse producono sul singolo e sul gruppo dei collaboratori, rappresenta una competenza fondamentale per il capo, visto che proprio le parole formano la trama di dialogo e relazione, cioè dei suoi principali strumento di gestione.

Ecco, dunque, come il capo è chiamato a porre attenzione alle parole che usa abitualmente, soprattutto se si accorge che il clima dell’organizzazione non è quello che si aspetterebbe. Senza volerlo, può succedere (anzi accade spesso) che egli lavori contro di sé e contro l’organizzazione, anche attraverso la scelta di parole che non aiutano le persone a vivere positivamente il presente e ad immaginare un futuro ricco di opportunità e soddisfazioni, verso il quale dirigersi con fiducia.

Prendersi cura dei collaboratori e costruire empatia inizia proprio da un passo tanto semplice quanto disatteso nel normale quotidiano di molte imprese e studi professionali; prestare attenzione alla scelta delle parole con le quali scrivere la storia quotidiana dei singoli, del gruppo e dell’organizzazione.

Attraverso la scelta delle parole, il capo valorizza il suo essere leader, aiutando, senza dichiararlo apertamente, i collaboratori a disegnare il proprio futuro in termini positivi e di possibilità, anche in momenti di incertezza e difficoltà come l’attuale.

Curare le parole e il dialogo significa anche non alzare il volume oltre il necessario, evitare attacchi personali e mancanze di rispetto, smorzando toni ed animi al primo sorgere di tensioni. Anche questo è un sistema per entrare in empatia con i propri collaboratori, aiutandoli a sentirsi parte di un mondo accogliente e propositivo, del quale sia bello far parte, anche accettando la responsabilità personale e collettiva di contribuire a conservarlo e migliorarlo nel tempo.

Certo, il lo dà il capo, che mostra a se stesso (e alla sua squadra) di saper entrare in empatia con il proprio ruolo di leader, in prima battuta. Solo in questo modo, infatti, riuscirà ogni giorno a mettere in scena in modo credibile un personaggio attento agli altri, equo e corretto, ma anche persuasivo, motivante e, non da ultimo, autorizzato a richiedere il giusto impegno ai propri collaboratori, a fronte dell’impegno che egli mette nel suo.

Fare bene il capo crea le condizioni ambientali, culturali e di clima, affinché nessuno possa esimersi dal lavorare bene, dove far bene il proprio lavoro è l’unico vero modo per fare anche gioco di squadra e mostrare fedeltà all’azienda.

Se hai letto sino a qui, penso tu abbia compreso come la fortuna della tua impresa sia strettamente intrecciata con la preparazione che metterai in campo nel tuo ruolo di leader, nell’atteggiamento e nei comportamenti con i quali guiderai i tuoi collaboratori verso le occasioni da cogliere, costituendo per loro un esempio costantemente efficace e positivo. Poi non va mai dimenticato che il buon capo lavora ogni giorno per portare il cammello alla fonte, ma la scelta se bere o meno ricade sempre su quest’ultimo.

Cosa ne pensi?

Grazie per l’attenzione e forza!

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...