
Negli ultimi articoli abbiamo parlato a lungo del valore dell’empatia e dell’importanza di costruire condivisione intorno ad essa all’interno della struttura aziendale ed in particolare nelle figure che più di altre possono influenzare la cultura organizzativa ed il clima interno.
Intendo le figure intermedie, quali i responsabili di area, ufficio, reparto, officina, squadra, turno, ecc., che tanto possono agire sul ben o mal-essere del personale loro sottoposto, sulla fedeltà (o meno) verso l’impresa, sull’impegno (o disimpegno) nel lavorare bene.
Anche questi elementi della gestione aziendale possono (anzi, devono) far parte della delega che il leader trasmette alle figure a lui più vicine, affinché concorrano a diffondere metodo e stile nella struttura e verso il mercato.
Mi sto riferendo a quella parte della delega che si basa sulle cosiddette competenze trasversali, o soft skills, che dir si voglia. Quelle capacità che tanto risultano importanti nello sviluppo delle carriere e delle figure professionali, quanto spesso sono trascurate, in favore delle competenze tecniche e procedurali (hard skills), che costituiscono l’ossatura (generalmente unica) delle selezioni e della formazione del personale. Le soft skills aiutano a integrarsi con la cultura organizzativa di inserimento e a interagire con essa, partecipando efficacemente alla sua evoluzione; senza di esse risulta limitata la capacità di comprendere gli obiettivi assegnati e conseguentemente di raggiungerli.
Credo risulti ben evidente come, per poter lavorare efficacemente sulla condivisione dell’empatia e su un processo maturo di delega verso i collaboratori diretti, il leader debba innanzi tutto conoscere approfonditamente le persone alle quali si rivolge e con le quali dialoga.
Solo così infatti, avrà ben chiaro cosa attendersi da ognuno, in relazione alle esperienze già maturate ed alle potenzialità; inoltre potrà scegliere le parole più adatte per farsi comprendere e seguire. Ricordo che colloquio e dialogo costituiscono le armi principali del leader!
Come scritto negli articoli scorsi, non vale la pena confidare in discorsi generici, né tanto meno ricorrere a vaghe esortazioni. Serve essere precisi ed usare le parole più corrette ed utili; per questo è importante conoscere i propri interlocutori, in modo da evitare di rivolgere loro richieste inopportune per potenzialità o capacità di comprensione, che potrebbero generare conseguenze ben diverse da quelle attese e risultare controproducenti, malgrado tutte le buone intenzioni di partenza.
Quando parlo di conoscere (approfonditamente) i propri collaboratori principali, mi riferisco soprattutto alle loro abilità in termini di gestione delle relazioni interpersonali, comunicazione efficace, problem setting e solving, gestione del team, negoziazione delle scelte, flessibilità ed adattabilità alle situazioni, tensione al risultato ed interesse verso il lavoro e l’azienda, fiducia in sé, resistenza allo stress.
Si tratta di capacità importanti, spesso fondamentali, per tutte quelle PMI e studi professionali che quotidianamente affrontano la sfida della complessità del mercato e dell’innovazione di prodotto/processo. Capacità importanti, ma spesso affidate al “buon senso personale e professionale” del singolo, piuttosto che essere opportunamente misurate e coltivate in azienda.
Affidare al caso una buona fetta del successo delle politiche imprenditoriali, confidando nel buon senso altrui è oggettivamente rischioso; meglio dunque sapere bene con cosa si ha a che fare e quali possono essere i margini di manovra su cui contare. E’ vero che con le persone, la loro motivazione ed i loro comportamenti non è pensabile avere garanzie, ma è altrettanto vero che si possono ricercare ed ottenere informazioni sufficienti per effettuare scelte maggiormente oculate, per indirizzare le carriere e per evitare di mettere a contatto individualità che, a posteriori, si mostrano incompatibili.
Porre attenzione alle capacità possedute da una persona risulterà tanto più strategico quanto:
- più grande sia il soggetto (e conseguentemente meno plasmabile);
- quanto meno, durante la carriera, abbia avuto occasione di approfondire in modo sistematico il tema delle competenze trasversali, soprattutto di quelle che sono importanti per la delega che gli verrà affidata;
- quanto meno in azienda sia attiva un’offerta formativa dedicata a sviluppare le competenze trasversali;
- quanto più rapidamente si vuole che la persona riesca ad inserirsi efficacemente nella struttura aziendale e a ricoprire la mansione affidata con un buon livello di autonomia e responsabilità.
Non va poi trascurato che, soprattutto nelle realtà di piccole dimensioni dove ogni figura intermedia è fondamentale, evitare gli errori è assolutamente importante, sia per le dinamiche interne, sia per non far vacillare la leadership del decisore apicale. Sappiamo bene come dover ritornare sui propri passi sia frustrante, oltreché oneroso. E poi si trova sempre chi sentenzia … io l’avevo detto al capo che… .
Quindi, non considerare spese ma investimenti importanti le risorse economiche e umane dedicate a conoscere le persone (anche attraverso il ricorso a test attitudinali) e a formarle in quelle competenze trasversali, che sono tanto impalpabili (in apparenza) quanto impattanti (nella sostanza) nel bene e nel male.
Strategica come sempre, ma è giusto ricordarlo, l’attenzione dedicata al colloquio di selezione e, ancor prima, la cura nella definizione del profilo ricercato; se non vi sono competenze specifiche in azienda, male non fa ricorrere ad un esperto, se non altro per apprendere ciò che non si conosce!
Inoltre, sempre nell’ottica del prevenire mali maggiori, grande attenzione al corretto utilizzo del periodo di prova (soprattutto per le figure intermedie, per le quali può avere una durata sufficiente a valutare la bontà della scelta effettuata); per una volta che il legislatore ha pensato ad uno strumento utile (anche) al datore di lavoro, perché rinunciarvi?
Grazie per l’attenzione e forza!