
Complessità e caos, questa è sempre più la realtà (triste?) con la quale ci confrontiamo ogni giorno. Un tema caldo e tremendamente attuale, che ho voglia di riprendere ed approfondire.
Trovarsi sballottati in balia del caos è disarmante; una condizione che pesa, non gratifica e alla lunga risulta usurante. Affannarsi per trovare un filo logico in mezzo ad un disorientamento colossale… beh, non è davvero semplice!
Che fare? Come comportarsi, dunque, quando sembra di non aver più risorse utili da spendere?
Come accade per ogni cambiamento, il primo errore consiste nel rifiutare la complessità, quasi non volendo ammettere che essa è ormai diventata la cifra caratteristica dell’esperienza quotidiana. Anche se in prima istanza può sembrare conveniente rinchiudersi e proteggersi, distogliere lo sguardo da ciò che non si vuole vedere, la politica dello struzzo non paga nel tempo; prima o poi bisogna riemergere, per non soffocare. Voler andare avanti infilando la testa in un sacchetto e aspettandosi che vada tutto bene, beh, non mi sembra una scelta vincente. Proprio per niente.
Certo, soprattutto ad una certa età (potremmo discutere a lungo su quale essa possa essere ) è comprensibile ambire ad un po’ di quiete e serenità, ma se questo significa attendersi che tutto vada sempre secondo i propri piani…
E neppure lamentarsi che le cose non sono più come in un passato (peraltro probabilmente un po’ troppo mitizzato)…
Invece, può aiutare metterci un po’ di creatività, di voglia (o almeno disponibilità) a cambiare ed evolvere; insomma, accettare di non rimanere bloccati in comportamenti ripetuti senza soluzione di continuità e che oramai risultano inefficaci e insoddisfacenti. Solo così, d’altronde, è possibile individuare finestre laddove gli altri vedono soltanto dei muri.
Va quindi accettata e affrontata l’idea di ripensare il proprio progetto professionale.
Immaginare e definire un progetto, un traguardo, stimola e aiuta; permette di gestire il tempo selezionando le priorità e gli impegni, imparando anche a dire di NO, quando serve.
Con un progetto finalizzato ed attuale si utilizzano meglio le unità di tempo più brevi (giorno, settimana), perché si adotta una programmazione delle cose da fare e ci si impegna maggiormente ad imprimere un ritmo adeguato a se stessi ed al proprio mondo.
Le unità di tempo più lunghe, invece, ad esempio l’anno e il mese, acquisiscono maggiore senso, perché definiscono le tappe intermedie del proprio percorso e segnalano i traguardi raggiunti.
Ad esempio, per me ed il mio lavoro ogni anno ha un “titolo”, che corrisponde al traguardo principale che voglio raggiungere.
Il progetto, insomma, ti aiuta in tre modi: a mettere a fuoco le priorità, a darti lo slancio ed il ritmo necessario per trasformarle in soddisfacenti realtà, a mantenerti centrato e determinato mentre intorno a te le folate di novità tenderebbero altrimenti a farti sbandare.
Grazie per l’attenzione e… su la testa, sguardo avanti e forza!