
Mi è recentemente capitato di incontrare persone di buon valore professionale e con una certa anzianità aziendale, che avevano deciso di cambiare posto di lavoro, dopo che l’ingresso dei figli del titolare li aveva “scalzati” dalla posizione (e condizione psicologica) di “braccio destro del capo”.
Attraverso il dialogo con loro si percepiva chiaramente la delusione per essersi trovati di punto in bianco in una posizione scomoda, ben diversa da quella che avevano conosciuto sino a qualche mese prima.
Sappiamo bene come ogni lavoratore interessato alla propria azienda e appassionato dal proprio lavoro ricerchi una gratificazione che va ben oltre il denaro e che si nutre (anche) dell’essere e sentirsi membro portante di un team che punta a raggiungere risultati importanti e si pone obiettivi sfidanti.
Trovarsi (invece) “all’improvviso” ai margini del team, o addirittura di fatto fuori, ecco, questo non piace. E non piace soprattutto a chi, intorno ai quarant’anni, ha già dato tanto all’azienda e al suo titolare (e dunque si sente “tradito”) e sa bene quanto ancora potrebbe e vorrebbe dare, ma teme (o è certo), di non poterlo più fare. Sentirsi a quarant’anni su un binario morto non piace, c’è poco da fare!
E allora le persone azionano lo scambio e cercano un binario che le metta in condizione di correre lontano, di continuare con stimolo e soddisfazione il loro viaggio professionale. Proprio perché sono convinte del loro valore, accettano quella breve insicurezza che è insita nel cambiare posto di lavoro, pur di non rinunciare a realizzare le proprie legittime aspirazioni personali e professionali.
Questo non deve stupire, né mi stupisce affatto; mi lascia invece davvero perplesso, come gli imprenditori possano essere così ciechi e sordi, da non vedere né ascoltare le istanze che provengono dalle persone che sono più vicine a loro in azienda.
Che senso ha rinunciare a tanto know-how e ad una sperimentata fedeltà all’azienda, in un momento tanto delicato per il mercato del lavoro?
Non è forse possibile costruire un percorso di ingresso e di sviluppo degli junior, che rispetti chi ha contribuito a fare in modo che l’azienda li potesse accogliere, o davvero abbiamo a che fare con una concezione usa-e-getta delle persone e dei collaboratori, anche se capaci?
A mio parere vale la pensa rifletterci bene, anche per il futuro degli junior!
Grazie per l’attenzione e forza!