Benvenuto e buon lavoro!

Probabilmente molte aziende e studi professionali stanno programmando nuovi inserimenti di personale per ampliare o specializzare ulteriormente il proprio organico, oppure per sopperire all’uscita di uno o più collaboratori, fatto sempre più frequente in questo periodo.

Sappiamo tutti – spesso per averlo appreso “sulla propria pelle”- quanto il tema della selezione del capitale umano sia cruciale (per non dire critico!); siamo attualmente alle prese con un mercato del lavoro assai volubile e difficilmente inquadrabile.

Comunque, che si tratti di un ampliamento dell’organico o di una sostituzione poco importa, è conveniente dedicare a questo evento una specifica e competente attenzione, per evitare di doversi successivamente pentire (amaramente) a causa di scelte frettolose e vedersi costretti a correre precipitosamente ai ripari.

Ipotizziamo che tutto vada bene; che la ricerca e selezione sia stata condotta in modo positivo e che la persona prescelta sia effettivamente in sintonia con le caratteristiche dell’organizzazione nella quale si troverà ad operare.

Normalmente cosa accade a questo punto? Il primo giorno di lavoro la persona viene più o meno accolta, le viene indicato il posto di lavoro (sperando sia stato predisposto per tempo….) e, se tutto va bene, viene affidata ad un dipendente più esperto che la affianca spiegando “cosa c’è da fare”.

Quasi mai il collaboratore incaricato di effettuare l’affiancamento è stato preventivamente sensibilizzato e formato sul “senso” di questo processo e dunque molto frequentemente il nuovo arrivato viene inserito ad un certo punto del processo aziendale senza sapere molto (o nulla) di quanto accade prima, di quanto avverrà dopo e di quale sia la cornice complessiva nell’ambito della quale opera l’azienda o lo studio.

Certo, questa non è la condizione migliore per costruire un efficace processo di inserimento di un nuovo collaboratore, soprattutto se questi non possiede una solida base esperienziale, che gli permetta di comprendere velocemente quanto gli viene spiegato e ciò che vede intorno a sé. E non credo serva sottolineare come questa condizione sia sempre meno frequente,

Quali sono i “rischi” principali da evitare?

  1. Non costruire le condizioni adeguate per favorire la chiara e piena comprensione del contesto complessivo dell’azienda, all’interno del quale il nuovo collaboratore andrà ad operare, nell’ambito di uno o più processi e sottoprocessi. La presenza di una chiara visione d’insieme nella quale andare successivamente ad inserire lo svolgimento dell’attività specificamente delegata al nuovo arrivato è uno dei modi migliori per favorire la piena comprensione del senso del lavoro, oltreché dei contenuti e dunque fondamentale per poi pretendere atteggiamenti e comportamenti responsabili ed adeguati allo specifico contesto. Certamente, questo approccio è ancor più importante nel caso si tratti di sevizi immateriali, più complessi da intuire e comprendere rispetto al caso di prodotti tangibili, soprattutto se la persona ha poca o nulla esperienza di lavoro.
  2. Non dire chiaramente alla persona cosa si aspetta da lui il titolare in termini di comportamenti, atteggiamenti, modalità di relazione con i colleghi, regole di convivenza interna e di utilizzo delle strutture (pause caffé, Internet, smartphone personale, ecc.). Se questi aspetti non sono affrontati e gestiti fin da subito in modo chiaro (quante aziende e studi utilizzano un qualche Documento di Accoglienza del Nuovo Assunto? Quante hanno comunque formalizzato un “Codice dei valori e dei comportamenti”?), può accadere frequentemente che una grossa fetta del “come” svolgere il lavoro sia lasciata alla libera interpretazione del singolo, mentre il grosso dell’attenzione si concentra solo sul ” cosa” c’è da fare.

Senza questa cornice di sfondo diventa meno semplice rappresentare l’immateriale, ovvero far comprendere lo “stile” con cui l’azienda o lo studio vuole che venga interpretato il ruolo professionale.

Senza una chiarezza di fondo si lascia al caso o al “buon senso” la gestione di quella componente immateriale del lavoro, che molto spesso ne costituisce il senso più profondo, ne comunica e valorizza la qualità.

Mi permetto anche di sottolineare l’importanza di fare in modo che l’ambiente di lavoro sia quanto più possibile accogliente e positivo, onde evitare “rigetti rapidi” da ambo le parti e/o rischiare il diffondersi di voci negative, che alla lunga allontanano i possibili candidati migliori. Con i tempi che corrono direi che non è proprio il caso di rischiare di incorrere in un passa-parola negativo su questo argomento.

Grazie per l’attenzione e forza!

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